Otel Bruni di V. M. Manfredi: recensione
Ognuno di noi ha alle spalle diverse storie: la propria storia personale, quella della sua famiglia, quella della sua città e quella della sua nazione. Queste storie spesso rappresentano dei piacevoli ricordi da evocare in balìa della malinconia, oppure un pesante fardello da portare sulle spalle, come un marchio che non si vuole scrollare di dosso, un tatuaggio. Per Valerio Massimo Manfredi esiste, però, un’altra opzione: quella di condividerle.
In Otel Bruni, infatti, egli unisce la storia del nostro Paese a quella di una famiglia, i Bruni per l’appunto.
Il romanzo, tuttavia, costituisce qualcosa in più di una saga familiare, perché è presente al suo interno un vivido spaccato dell’Italia contadina della prima metà del XX secolo, ponendo attenzione anche ai due grandi conflitti mondiali e alla guerra civile scaturita dopo l’armistizio di Cassibile.
I numerosi personaggi vivono tutti – chi più e chi meno – le pressioni della povertà, della miseria e dell’ignoranza, che fa sembrare ai loro occhi ogni possibilità di riscatto come una truffa. Subiscono in modo passivo le decisioni dei potenti che dispongono delle loro vite come se fossero pedine da gioco e, quando qualcuno si ribella, viene etichettato come “nemico pubblico” e viene perseguitato da quegli organi che dovrebbero garantire l’ordine cittadino.
Malgrado la crisi, i problemi e le carestie, non perdono, però, la fiducia in un futuro migliore e nella terra, che non tradisce mai e fornisce il cibo.
Nell’Otel Bruni, poi, c’è sempre posto per qualche viandante che cerca ospitalità, perché in esso si potrebbe celare Nostro Signore e a lui non bisogna mai rifiutare alloggio. Gli eventi avversi, l’indivia, e la partenza forzata di Floti, il “reggente” della famiglia, però, fanno dividere i Bruni e, da allora, l’incantesimo svanisce e decidono di abbracciare il motto “ognuno per sé e Dio per tutti”.
Questa famiglia emiliana deve anch’essa fare i conti con la storia e con tutti i problemi che essa si porta dietro. Nessuno è esente al trascorrere del tempo e all’operato della nera signora con la falce. Tante sono, infatti, le perdite dolorose che non fanno altro che allargare le discrepanze, invece di ricucire gli strappi.
Quando finalmente le guerre finiscono, restano sempre conti da saldare e l’improvvisa morte del medico condotto getta per la seconda volta il velo dell’accusa di assassinio (o tentato tale, nel primo caso) su i Bruni. Armando, uno di essi, si ritrova a dover fare i conti con la giustizia, essendo perfino umiliato e dimenticato da tutti.
A chiudere il cerchio, una scoperta che sciocca tanto il lettore, quanto i protagonisti del romanzo. Una storia che ricollega molte vicende che all’inizio sembrano del tutto sconnesse e insignificanti, svelando identità celate.
Ecco, questa è la storia dei Bruni che Valerio Massimo Manfredi ha voluto magistralmente raccontarci. Di quei Bruni che a lui erano parenti. Maria, infatti, era sua nonna che sposa Fonso, il cantastorie. Armando Bruni, invece, era il prozio dell’autore e proprio per riabilitare la sua immagine Fabio Emiliano Manfredi, il figlio di Valerio Massimo, ha lavorato tanto.